Description
Da “Row” al “New Yorker”, ovvero come un artista underground giunge a disegnare le copertine della più sofisticata e borghese rivista newyorkese. In questo lussuoso, e costoso, libro illustrato, Art Spiegelmann racconta, con una buona dose di irritante civetteria, i dieci anni in cui ha lavorato come illustratore per il “New Yorker”. Dal 1992 al 2002 il pluripremiato autore di Maus ha avuto il non facile compito di scuotere la placida routine di una rivista stimata per l’equilibrio e la serietà, ma considerata da molti decisamente troppo conservatrice, soprattutto sul piano delle immagini. L’ultima rivista a grande tiratura a non aver ceduto alla fotografia e a usare ancora copertine illustrate si era da tempo assestata su innocui e rarefatti quadretti rassicuranti. “Flebili scene stagionali, paesaggi cittadini, nature morte nate morte e rifacimenti submoderni di Picasso, Matisse e Klee”, commenta Spiegelmann non senza sarcasmo. Poi la tempesta, Tina Brown, già direttrice di “Vanity Fair”, viene chiamata a dirigere e svecchiare la senescente e rispettabile istituzione letteraria e porta con sé l’autore del momento, l’uomo che con un fumetto scarabocchiato in bianco e nero, con i gatti/nazisti che inseguono i topi/ebrei, era riuscito a vincere il Pulitzer. Le copertine di Spiegelmann, colorate, spesso intelligenti, talvolta pungenti e spiritose riescono nel loro intento suscitando scalpore e interesse. Dai conflitti razziali cittadini alle Twin Towers, passando per i guai giudiziari di Clinton, il processo di O.J. Simpson e le violenze dei poliziotti, le copertine ci forniscono un interessante breviario della storia americana recente, registrata con acutezza e senso critico. Meno soddisfacente è invece la parte scritta, perché il fumettista perde l’occasione di farsi cronista di se stesso per indulgere invece in un futile compiacimento, finendo talvolta per scadere – ad esempio nelle descrizioni delle faraoniche feste holliwoodiane – nel pettegolezzo autoreferenziale.
Ed. Nuages